“Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento e di esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute.”
Ippocrate ( 460 – 377 a.C. )
L’aspetto sicuramente positivo dell’era della rete, dei social, del potenziamento all’ennesima potenza della comunicazione ha apportato benessere e permesso di raggiungere traguardi meravigliosi al genere umano. Tuttavia l’errore più grande che si è compiuto e che tutt’oggi si compie è quello di non aver mai adeguato alla potenza della comunicazione anche la qualità dell’informazione.
Il campo della nutrizione applicata allo sport è ricca di miti e legende, che, purtroppo, gli atleti seguono ciecamente non approfondendo la veridicità su fonti attendibili. In questo articolo cercheremo di superare questi miti cercando di esaminare alcuni temi di nutrizione sportiva, descrivendo in maniera semplice come la scienza si esprime al riguardo e cosa è vero in merito alle voci più comuni in circolazione.
Senza ombra di dubbio è necessario sopperire all’aumento della reale utilizzazione a scopo energetico anche di una quota amminoacidica durante l’allenamento di endurance, nonché sostenere la crescita muscolare per gli atleti che praticano un allenamento di forza, tuttavia non vi sono prove sufficienti per sostenere l’idea che il fabbisogno proteico aumenti a dismisura all’aumentare del livello di allenamento. Gli atleti dovrebbero consumare tra 1,5- 2,0 grammi per kg di peso corporeo o ricadere in un range che va dal 10 % al 35% delle calorie totali [4,7,8].
La risposta va calzata sulla tipologia di disciplina presa in esame: in attività di ultra endurance si può registrare in alcuni atleti l’insorgenza di sintomatologia quale mal di testa, vomito, gonfiore a mani e piedi, confusione, edema cerebrale, arresto respiratorio e spesso, nei soggetti che bevono quantità elevate di acqua, può anche verificarsi il decesso [7]. Questa serie di eventi durante un’attività molto prolungata è determinata dall’iponatriemia, ovvero una diluizione elevata del sodio nel sangue; inoltre questa condizione è più probabile che si verifichi nei soggetti di piccola corporatura, ipomuscolati, che corrono lentamente, sudano spesso di meno, e bevono ingenti quantitativi di acqua (senza integrare con preparati tecnici idrosalini o energetico salini) prima, durante e dopo l’esercizio [7]. Un’indicazione per chi pratica ultra endurance, che sia corsa su strada o ultra-trail, sicuramente è quella di pesarsi prima e dopo una sessione lunga di allenamento; potrà essere utile per verificare di non aver messo su peso: in tal caso, sarà necessario rivedere la strategia di integrazione-idratazione durante l’attività.
Ovviamente è sconsigliato anche assumere ingenti quantitativi di integratori energetico salini o idrosalini, soprattutto se molto concentrati: il consiglio è di alternare ogni 20’/25’, a seconda dell’intensità dell’allenamento, prese di sola acqua a prese di diluizioni saline opportunamente calzate sull’atleta in questione, grazie all’ausilio del Medico Sportivo, Dietista o Nutrizionista.
Vi è una vasta gamma di tassi di sudorazione e le perdite totali di sudore durante l’allenamento sono differenti da individuo a individuo. Inoltre, le condizioni climatiche hanno una valenza importante sulla profusione di liquidi e sulla perspiratio insensibilis, quindi fornire delle raccomandazioni individuali è estremamente difficile [7]. Secondo l’Istituto di Medicina si dovrebbero consumare tra i 2 e 3 litri e lasciarsi guidare dalla sensazione di sete [5]. Ovviamente l’errore dettato dalla superficialità tende a far indicare esclusivamente il quantitativo di liquidi da introitare, senza specificare anche la modalità migliore di assunzione. Ideale sarebbe dilazionare l’intake di liquidi durante tutto l’arco della giornata, senza mai concentrare ingenti quantitativi in un’unica presa.
La presa di posizione dell’ ACSM (American College of Sports Medicine) e dell’ADA (American Dietetic Association) “[…] Nessun integratore di vitamine e minerali è necessario se un atleta ha un consumo di energia sufficiente fornito da una alimentazione il più possibile varia che gli consentono di mantenere il peso corporeo”. Gli atleti che seguono un’alimentazione restrittiva, o se vertono in uno stato di malessere, o ancora per facilitare il recupero da un infortunio o, infine, a seguito di uno specifico motivo medico/nutrizionale, possono beneficiare di un’integrazione specifica [6]. Ricordate sempre: prima il cibo, poi il supplemento, se necessario. Parlare sempre con il Medico dello Sport o con un Nutrizionista (meglio se specializzato in Nutrizione e sport) della vostra situazione specifica, prima di assumere qualsiasi integratore. Anche l’integratore considerato più innocuo dall’opinione generale può avere effetti indesiderati.
Il tema “integrazione”, per quanto concerne atleti professionisti e olimpionici, deve necessariamente essere valutato a scopo preventivo, per salvaguardare lo stato di salute e benessere, considerando il notevole stress a cui un atleta di livello sottopone quotidianamente il suo organismo.
Mentre la vitamina C ha dimostrato di diminuire i sintomi e la severità di un lieve stato influenzale come potrebbe essere un banale raffreddore, le ricerche fino ad oggi non hanno dimostrato che i supplementi di vitamina C siano in grado di aiutare gli individui a scongiurare l’influenza [3]. Ovviamente bere una spremuta al giorno, soprattutto quando gli agrumi sono di stagione, non può che fare bene, cosi come valutare la periodizzazione di una eventuale integrazione di vitamina C sotto consiglio medico, tuttavia il metodo migliore per evitare di ammalarsi è praticare un lavaggio regolare ed efficace delle mani e seguire una dieta sana.
Sono solito affermare: “Il lungo è un’occasione, non sprecatela” oppure “Il lungo non deve essere pensato come allenamento dimagrante, ma allenante, come tutti gli altri”. L’attività fisica in generale a mio avviso non dovrebbe essere pensata e praticata per il dimagrimento. Sicuramente il movimento è un coadiuvante per il mantenimento o raggiungimento di uno stato di forma ottimale, ma il peso ideale si raggiunge con le scelte opportune che quotidianamente si fanno a tavola. Quindi pensiamo allo sport come un qualcosa che va praticato per stare bene in generale, per sostenere il nostro benessere psicofisico, per mettere in moto il nostro organismo spesso sopito dalle tante ore di sedentarietà estrema. Quindi durante i vostri allenamenti, soprattutto se lunghi e/o intensi, non fate l’errore di non integrare. Una carenza di carboidrati durante l’attività è causa di uno scarso recupero muscolare, di un mancato stimolo allenante positivo. Per gli allenamenti che superano di molto la durata di 60 minuti, è opportuno prendere una bevanda sportiva in grado di fornire un 5 – 8% di carboidrati in soluzione, senza diluirla per ottenere un’idratazione ottimale [6].
Talvolta una condizione di magrezza (o presunta tale) può non correlare con uno stato di salute o di nutrizione ottimale. Considerate che un non adeguato apporto energetico compromette le prestazioni e riduce i benefici dell’allenamento, sia in termini performanti che di salute. Con una dieta fortemente ipocalorica, sia il tessuto grasso che quello magro, vengono intaccati ed utilizzati come carburante dal nostro organismo con una sostanziale perdita di forza e resistenza, nonché una possibile compromissione del sistema immunitario, endocrino e della funzionalità del muscolo-scheletrica. Una scarsa assunzione di nutrienti può anche causare disfunzioni metaboliche collegate a carenze nutrizionali, nonché una riduzione del metabolismo a riposo (RMR) [6]: queste condizioni posso assicurarvi che sono molto più frequenti di quello che si possa immaginare.
Gli atleti allenati in genere hanno più massa muscolare e meno massa grassa rispetto alle persone sedentarie, pertanto il BMI non è uno strumento appropriato di screening per gli atleti [2]. I Centri per il Controllo e la Prevenzione (CDC) raccomandano che gli atleti utilizzino metodi diversi dal BMI per valutare la composizione corporea [1]. La circonferenza della vita è un buon indicatore di rischio, poiché correla fortemente con il livello di grasso addominale viscerale e un importante indicatore di rischio per le malattie correlate all’obesità [1]. I CDC raccomandano inoltre di utilizzare l’impedenza bioelettrica (BIA), o la Dual-Energy X-Ray (DXA) per determinare la percentuale di grasso [1]. La plicometria è una metodica ormai superata, che rimane utile solo in determinati casi specifici, tuttavia in assenza di poter reperire la strumentazione idonea rimane pure sempre un utile metro di valutazione.
Perché sempre loro? I carboidrati. Anche riducendo semplicemente l’introito totale delle calorie attraverso una diminuzione di ogni macronutriente, ovvero di carboidrati, proteine e grassi otterrete una perdita di peso.
Eliminando o riducendo drasticamente l’apporto di carboidrati sicuramente praticando sport incorrerete in una importante sensazione di stanchezza e nel decadimento rovinoso delle prestazioni perché i carboidrati sono la benzina di qualità che i nostri muscoli e i nostri organi prediligono per funzionare al meglio, sia per le discipline di endurance o aerobiche, che durante le attività ad alta intensità come gli allenamenti di forza [4, 8]. Secondo l’Istituto di Medicina, gli individui dovrebbero consumare tra il 45-65% delle calorie totali da carboidrati [4, 8], considerando il fabbisogno maggiore riservato agli atleti [6]. La dieta ipoglicidica come approccio al paziente obeso o in sovrappeso può essere d’aiuto in determinate condizione patologiche specifiche (non finalizzata al mero dimagrimento) solo se considerata in brevi periodi ed inquadrata in un regime nutrizionale adeguato, mentre è in linea di massima è sempre sconsigliata nell’atleta, professionista o amatoriale che sia, soprattutto se esegue giornalmente allenamenti intensi.
“La regola base che invito ad adottare è di non credere a tutto quello che si sente o legge. Occorre sempre prendere in considerazione la fonte delle notizie e operare un controllo per assicurarsi che le informazioni provengano da divulgazioni credibili, e in quanto tali, riconosciute dalle maggiori organizzazioni mediche e di ricerca scientifica.”
Autore dell’articolo: Francesco Fagnani
DOTTORE IN DIETISTICA E
SCIENZE DELLA NUTRIZIONE UMANA
FAGNANI NUTRITION
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BIBLIOGRAFIA
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